Distinte dai codici due memorie ippocampali umane

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 21 maggio 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La nascita della neuropsicologia in seno alla neurologia origina dagli studi anatomo-clinici sulla memoria e sul linguaggio: le lesioni che causavano amnesia anterograda o retrograda, insieme con quelle identificate da Broca (area 44 per l’afasia motoria) e Wernicke (area 22 e vicine per l’afasia recettiva) per l’esecuzione individuale della lingua e la comprensione della parola, hanno costituito lo storico nucleo culturale per lo studio scientifico dei rapporti tra dimensione mentale e cervello. Le lesioni del lobo temporale mediale interessanti l’ippocampo hanno costituito le prime evidenze di una sede anatomica specifica e centralizzata di circuiti e processi indispensabili per la memoria e l’apprendimento. Per oltre un secolo, la ratio sviluppata in seno alla neuropsicologia ha ispirato le classificazioni dei tipi di memoria adottate in medicina e in psicologia, poi con lo sviluppo della neuroscienza cognitiva sono stati introdotti altri criteri neurobiologici e neurofisiologici, che hanno contribuito a sistematizzare altri aspetti della capacità di registrare l’esperienza ed organizzarla in apprendimenti al servizio della cognizione. Negli ultimi decenni si è cercato di analizzare e comprendere il valore e i limiti delle numerose classificazioni dei tipi di memoria umana, in uno spettro che va dalle distinzioni basate su fenomenica di osservazione e ragionevole plausibilità a quelle biologiche più essenziali ed elementari costituite da due sole memorie, ossia a breve termine e a lungo termine.

Le neuroscienze, ossia la casa comune degli studi sul cervello e sulle sue espressioni funzionali nella dimensione mentale, hanno contribuito in modo decisivo a stabilire quali forme di memoria concepite sulla base delle esperienze neuropsicologiche resistessero al vaglio dei criteri scientifici adottati dalle discipline neurobiologiche. Nelle classificazioni condivise dei tipi di memoria, oltre alla distinzione generale tra memoria esplicita e implicita, nell’ambito del primo tipo di processi coscienti si distingue tra memoria semantica, o memoria delle nozioni, e memoria episodica, o memoria dei fatti autobiografici. Quest’ultima forma di ritenzione dell’esperienza è di grande attualità sperimentale, perché si stanno indagando le basi neurali del modo in cui il cervello rappresenta il “cosa”, il “quando” e il “dove” di specifici episodi.

Zhisen J. Urgolites e colleghi hanno rilevato in pazienti epilettici sottoposti a monitoraggio bioelettrico l’attività di singole unità dell’ippocampo, riflettenti esclusivamente memorie episodiche. Coerentemente con le previsioni dei modelli neurocomputazionali, questo segnale è codificato in modo sparso a pattern separato. I ricercatori hanno anche rilevato attività di singole unità riflettenti un segnale di memoria generico, che codifica se un elemento è vecchio o nuovo senza alcuna altra informazione episodica specifica per quell’elemento. Similmente alle “cellule concetto” questo segnale generico che distingue in base al paradigma ripetizione/novità è stato rilevato nei neuroni di molte regioni del cervello, incluso lo stesso ippocampo.

Questo studio indica la coesistenza di due segnali di memoria nel cervello umano e suggerisce un ruolo fondamentale per il segnale esclusivo dell’ippocampo a codificazione sparsa, mentre indica un ruolo complementare per il segnale generico – e già bene studiato – che distingue tra nuovo e già noto.

(Urgolites Z. J., et al., Two kinds of memory signals in neurons of the human hippocampus. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2115128119, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neuroscience, University of California at San Diego, La Jolla, CA (USA); Department of Psychiatry, University of California at San Diego, La Jolla, CA (USA); Department of Psychology, University of California at San Diego, La Jolla, CA (USA); Neurtex Brain Research Institute, Dallas, TX (USA); Veterans Affairs Medical Center, San Diego, CA (USA); Department of Neurology, Barrow Neurological Institute, Phoenix, AZ (USA); Department of Psychology, Arizona State University, Tempe, AZ (USA); Department of Psychology, Nex Mexico State University, Las Cruces, NM (USA).

Due grandi epopee hanno segnato la storia della ricerca sulla memoria: lo studio dei casi di lesioni cerebrali e l’identificazione delle basi molecolari della ritenzione a breve e a lungo termine di un’esperienza. La prima, che aveva avuto inizio con le osservazioni neurologiche e neuropsicologiche di pazienti amnesici, ha avuto nel secolo appena trascorso un grande protagonista nel paziente di Brenda Milner, H. M., al quale era stato asportato chirurgicamente l’ippocampo[1]. La seconda, nata in seno agli studi di neurobiologia molecolare del comportamento, ha avuto nel laboratorio di Eric Kandel il principale punto di riferimento per la scoperta, nel mollusco Aplysia californica, del meccanismo a breve termine mediato da AMP-ciclico, e di quello a lungo termine che richiede sintesi proteica.

La memoria è una “caratteristica di sistema” - ripeteva sempre Gerald Edelman - e ciascun sistema, da quello molecolare degli acidi nucleici a quelli delle reti neuroniche, ha la sua memoria; ma, quando si parla di memoria umana, prevalentemente ci si riferisce alla nostra capacità di conservare ricordi autobiografici (memoria episodica) e nozioni di utilità scolastica, professionale, esistenziale (memoria semantica), nelle forme esplicite o dichiarative a tutti note; un po’ meno si pensa alle forme di “memoria implicita”. Gli studi di neurofisiologia e neuropatologia della memoria umana sono stati a lungo focalizzati sull’ippocampo che, in epoca recente, ha rivelato un’estesa e complessa partecipazione a numerose funzioni cerebrali.

 Il danno dell’ippocampo sembra essere all’origine di deficit di memoria per tutti i tipi di esperienza riscontrati diagnosticamente e sottoposti a verifica neuropsicologica: oggetti, suoni, parole e odori[2].

Prima di riassumere i contenuti dello studio qui recensito si propone un breve cenno storico sull’ippocampo, tratto da una relazione del nostro presidente, e poi una sintesi schematica della principale classificazione dei tipi di memoria attualmente seguita.

“Fu Giulio Cesare Aranzi, medico veneziano e neuroanatomista ante litteram, che nel 1587 descrisse per la prima volta con il nome di ippocampo, ossia cavalluccio marino, la formazione corticale situata nella profondità mediale del lobo temporale e, a quell’epoca, posta in ipotetica relazione funzionale con il senso dell’olfatto. Poiché non sono poche le origini fantasiose e improbabili del termine hippocampus, che etimologisti improvvisati propongono nella pubblicistica neuroscientifica in lingua inglese, vale la pena precisare che Aranzi non intendeva evocare chissà quale mostro marino o il mitico cavallo con coda di pesce aggiogato al carro di Nettuno, ma aveva semplicemente scelto questa denominazione per la somiglianza della formazione corticale temporale con il cavalluccio marino (Hippocampus brevirostris): il simpatico animaletto acquatico la cui testa presenta un’elegante sagoma che ricorda quella del cavallo degli scacchi. L’etimo greco della parola viene dunque da ιππος, cavallo, e χάμπη, bruco, e indica che la sembianza equina riguarda una specie più vicina per dimensioni a un bruco che a un mammifero quadrupede.

L’ippocampo o Corno d’Ammone, secondo la neuroanatomia classica, è una struttura dell’archipallio[3] che si continua in una circonvoluzione del neopallio quale il giro paraippocampico. […] Le descrizioni anatomiche più recenti considerano la formazione dell’ippocampo, costituita dal giro dentato, dall’ippocampo propriamente detto, dal complesso del subiculum e dalla corteccia entorinale.  […] L’ippocampo propriamente detto è costituito da archicorteccia trilaminare, in cui un singolo strato di cellule piramidali è compreso fra due strati plessiformi. Ordinariamente è ripartito in tre regioni o campi: CA1, CA2 e CA3…”[4].[5]

Esistono varie classificazioni dei tipi di memoria basate su differenti criteri, una di queste, che conserva lo schema fondamentale delle teorie neuropsicologiche ma integra forme definite in base ad altri paradigmi sperimentali, è oggi per lo più seguita nella ricerca sulla memoria umana. Prevede la canonica distinzione fra memoria dichiarativa e memoria non dichiarativa[6].

La memoria dichiarativa o esplicita, ossia quella che è presente e disponibile alla coscienza del soggetto nei suoi contenuti, che possono essere facilmente richiamati e comunicati verbalmente, è a sua volta distinta in memoria semantica, ossia la memoria per dati e nozioni che tipicamente si impiega nello studio scolastico, e memoria episodica, ovvero la memoria per fatti ed eventi dell’esperienza di vita, sia autobiografici sia riguardanti persone e circostanze delle quali si è testimoni. Nella memoria semantica sono convenzionalmente inclusi i nomi di persona ed ogni tipo di denominazione, i concetti e le astrazioni di significato espresse linguisticamente da locuzioni, giri di parole, definizioni tecniche, disciplinari o dottrinarie, inclusi gli enunciati matematici e i regolamenti, così come brani in precedenza memorizzati, quali classificazioni, poesie e preghiere[7].

La memoria episodica è da molti autori considerata sinonimo di memoria autobiografica perché ordinariamente valutata chiedendo la rievocazione di brani di vita vissuta. In senso stretto è episodica e non autobiografica la memoria che riguarda eventi e fatti di cui si è testimoni, ma che non sono parte della propria vita. Un esempio è quanto si può verificare durante un lungo viaggio in treno. Può accadere che si assista all’incontro di due persone, poniamo un uomo e una donna che non si conoscono […]. Ricordare e rievocare questi fatti è una facoltà che rientra nel concetto di memoria episodica[8], mentre ricordare il nome di questi viaggiatori appartiene ad un processo ascritto alla memoria semantica. L’esempio dell’esperienza del viaggiatore, spettatore di eventi che non lo riguardano direttamente, introduce ad una forma di memoria episodica non autobiografica che spesso è oggetto di studio in condizioni di saggio sperimentale. È evidente che questa forma di ricordo è in questione quando si vogliano rievocare episodi che riguardano i protagonisti di un film o di una fiction televisiva, la cui trama è vissuta come esperienza mediata dalla percezione visiva degli eventi, in una forma ben distinta dalla lettura di un brano, che possiamo assimilare al compito di apprendimento scolastico mediato dalla concettualizzazione di nozioni.

Nella memoria episodica sono importanti due aspetti: la concatenazione degli eventi e la qualità delle circostanze; entrambe sono riferite al tempo dell’esperienza del soggetto.

L’articolazione dei tipi di memoria non dichiarativa o implicita è maggiore e presenta differenze anche notevoli fra i vari autori, ma trattare di questo argomento esulerebbe dai limiti e dai propositi di questa recensione. Si ricorda solo che molti ricercatori – e noi con loro – non considerano sinonimi memoria non dichiarativa e implicita, ma descrivono la seconda come una sub-categoria della prima, secondo questo criterio: la memoria non dichiarativa è distinta in memoria procedurale e memoria implicita, a sua volta ripartita in tre sottotipi: associativa (distinta in emozionale e senso-motoria), non-associativa (distinta in abitudine e sensibilizzazione) e impressiva (corrispondente al priming)[9]/[10].

Riprendiamo lo studio di Zhisen J. Urgolites e colleghi, che si è sviluppato sulla scorta della ricerca sulla rappresentazione della memoria episodica nell’ippocampo umano, alla quale si deve l’identificazione di segnali di memoria generici rappresentanti lo status di categoria degli elementi impiegati negli esperimenti, come ad esempio nuovo contrapposto a ripetuto. E anche sulla base degli studi che hanno identificato segnali di memoria specifici per un dato elemento di saggio. Cercando di riconoscere la rappresentazione funzionale del “cosa”, del “quando” e del “dove” di specifici episodi, i ricercatori hanno rilevato l’attività di singole unità ippocampali in pazienti epilettici. L’analisi dei tracciati ha rivelato che entrambi i segnali di memoria, generico e specifico, nei neuroni dell’ippocampo possono essere rilevati nello stesso esperimento.

In particolare, Urgolites e colleghi, nei pazienti impegnati nell’esecuzione di un compito controllato di riconoscimento continuo, hanno registrato l’attività di singole unità da quattro regioni del cervello: 1) ippocampo, 2) amigdala, 3) corteccia anteriore del giro del cingolo, 4) corteccia prefrontale.

Il segnale generico è stato trovato in tutte le quattro regioni studiate. In ciascuna regione circa il 10% dei neuroni era rilevatore sia della novità che della ripetizione, rimanendo costanti in questo comportamento elettrofunzionale in tutte le prove eseguite.

L’altro segnale di memoria era specifico per un elemento (item-specific) e separato per pattern: ciascun neurone rispondeva intensamente a una piccola frazione di parole ripetute (circa 1,66 parole), e ciascuna parola ripetuta evocava una forte risposta in una piccola quota di cellule nervose (circa 1,18). Questi neuroni sono differenti da quelli chiamati “neuroni concetto” che si accendono intensamente ogni volta che l’elemento viene presentato, sia nella prima presentazione, quando l’elemento è nuovo, sia nella seconda, quando è ripetuto, ossia già conosciuto. Il segnale di memoria episodica elemento-specifico è stato rilevato esclusivamente nell’ippocampo e rifletteva una codificazione sparsa; cioè, come si è detto, ciascun neurone ippocampale rispondeva intensamente solo a una piccola frazione di parole ripetute, e ciascuna parola ripetuta evocava la scarica solo di una piccola frazione di neuroni.

In sintesi, il codice è sparso, a pattern separato e limitato all’ippocampo, coerentemente con i modelli computazionali proposti da tempo in questo ambito di studi.

Urgolites e colleghi desumono da questi risultati che il segnale di memoria specifico per elemento dell’ippocampo sia fondamentale, mentre il più diffuso segnale di memoria generica sia accessorio e sia probabilmente impiegato da differenti regioni cerebrali per funzioni associate alla memoria che non richiedono informazioni specifiche per elemento.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-21 maggio 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Henry Molaison, pur incontrando quotidianamente la Milner, continuava a non riconoscerla, così evidenziando la sua incapacità di formare nuove memorie in assenza di ippocampo. Deceduto nel 2008, dagli anni Cinquanta è stato studiato tanto da divenire il caso più famoso della storia delle neuroscienze. Hans-Lucas Teuber del MIT, nel 1967 consentì a Donald G. Mackay di assistere per la prima volta ad un suo testing. Mackay, autore di un celebre volume sull’organizzazione della percezione e dell’azione (1987), ha ricordato H. M. in un articolo bene illustrato (Sci. Am. Mind 25 (3): 30-38, May/June, 2014), ma che non ci sentiamo di consigliare perché inaccurato (si legge, ad esempio, uno strafalcione quale la collocazione dell’ippocampo nel mesencefalo).

[2] Note e Notizie 05-07-14 Memoria di riconoscimento indipendente dall’ippocampo.

[3] La differenza citoarchitettonica fra archi- paleo- e neopallio rimane un dato certo, anche se la denominazione secondo questa terminologia, dovuta ad un’interpretazione filogenetica oggi non più ritenuta valida, è caduta in disuso.

[4] G. Perrella, La Ricerca della Memoria. Appunti di storia recente, p. 16, BM&L, Firenze 2010.

[5] Note e Notizie 05-07-14 Memoria di riconoscimento indipendente dall’ippocampo.

[6] Note e Notizie 07-05-16 Una convinzione sulla memoria umana smentita dai fatti.

[7] In classificazioni dei tipi di memoria basate principalmente sulla durata (es.: memoria sensoriale, della durata di pochi millisecondi; memoria a breve termine e working memory; memoria a lungo termine; ecc.) le informazioni autobiografiche, così come le preghiere imparate da bambini e ricordate per tutta la vita, si attribuiscono ad un comparto speciale della memoria a lungo termine detto permastore (“magazzino permanente”).

[8] Ricordiamo che si tratta di un concetto che, come quelli corrispondenti a tutti gli altri tipi di memoria di questa classificazione, non è scientifico, ma può dirsi operativo, ossia pragmaticamente utile e corrispondente ad una entità definita in chiave logico-empirica su una semplice base intuitiva.

[9] Per una discussione più dettagliata si veda nella sezione AGGIORNAMENTI del sito “La memoria e il sonno”, e poi i numerosi scritti su questo argomento nelle NOTE E NOTIZIE. Si ricorda, di passaggio, la concezione di Gerald Edelman secondo il quale la memoria è una caratteristica del sistema (molecolare, cellulare, dei circuiti, ecc.) nel quale si produce e, pertanto, la sua comprensione deriva dalla conoscenza del sistema, e una sua descrizione efficace non può essere astratta dal sistema stesso.

[10] Note e Notizie 07-05-16 Una convinzione sulla memoria umana smentita dai fatti.